Libri: “Second Hand” di Michael Zadoorian
Gli oggetti di seconda mano, il consumismo e l’amore nella provincia degli Stati Uniti costruiscono questo quadro della società nordamericana.
Il sottotitolo di Second hand recita “Una storia d’amore” e di amore infatti si tratta, di molte diverse forme d’amore che strutturano i tre filoni fondamentali del libro: l’amore filiale, innanzitutto, l’amore per gli oggetti e ciò che rappresentano e il tradizionale amore per un rappresentante dell’altro sesso.
A questi tre filoni si intreccia costantemente il tema della morte: quella che coinvolge i genitori del protagonista, quella che ossessiona la ragazza di cui si è innamorato, quella che gli permette di lavorare.
Richard infatti è un junker, quello che noi chiameremmo un robivecchi: dalle svendite organizzate nelle case di persone decedute (molto comuni negli Stati Uniti) lui recupera oggetti kitsch o semplicemente brutti che rivenderà ne suo negozio: tende con astronavi stampate sopra, un secchiello per il ghiaccio a forma di pinguino, un tritaghiaccio a manovella Sears, un completo da discoteca degli anni Settanta color cioccolato, un porta appunti a molla a forma di segugio, uno shaker da cocktail sul quale sono dipinti ricette di drink e attrezzi sportivi…
Il libro si riempie di queste liste di oggetti improbabili, scovati nelle svendite da garage, nei negozi dell’Esercito della salvezza ma anche nella cantina dei genitori di Richard. Gli oggetti parlano della loro vita precedente, si fanno amare una seconda volta dai junker e dai loro prossimi proprietari, rivendicano la loro dignità di esistenza in quanto già vissuti, carichi di storia, esperienze e amore.
Attraverso gli oggetti Richard definisce la propria identità, ricostruisce il rapporto con i suoi genitori e con sua sorella, attraverso il negozio conosce Theresa.
Anche Theresa ha a che fare con il regno della vita e della morte, e non solo perché anche lei è una junker. La ragazza infatti lavora in un centro di accoglienza per animali rifiutati, abbandonati, scartati in qualche modo. Se non vengono adottati in fretta la loro sorte è segnata, perché il rifugio è piccolo e non può accogliere molti ospiti: Theresa quindi deve ucciderli. È un lavoro orribile, che le porta incubi, sensi di colpa e che complica a sua capacità di relazionarsi con il resto del mondo.
I personaggi e le storie di Michael Zadoorian sono particolari, ben delineati, assomigliano un po’ a certi personaggi di Woody Allen, ai (rari) inetti della cultura americana. L’unica nota stonata, nel racconto di questo sottobosco sociale, è la convenzionalità della storia d’amore, la prevedibilità di ogni azione dei due protagonisti: sembra quasi che per amare Clark Kent debba necessariamente trasformarsi nel Superman che sembra disprezzare tanto.
Vale comunque la pena di leggere Second hand, intrufolarsi fra le cataste di scatoloni e commuoversi per quei brutti, vecchi oggetti che abbiamo posseduto anche noi: palle di vetro con la neve, collezioni di posacenere, set di tazzine anni sessanta, vecchie radio a transistor, brutte camicie di velluto marrone.
Michael Zadoorian
Marcos y Marcos