“Caravaggio e la natura morta” chiude il ciclo di incontri alla biblioteca comunale di Pisa
Il ciclo di incontri, voluto dall’assessorato alla cultura di Pisa per celebrare Caravaggio a 400 anni dalla morte, è volto al termine lo scorso 31 Marzo.
Questa quarta ed ultima lezione è stata la degna conclusione degli appuntamenti di storia dell’arte che, a partire dal 17 Febbraio, hanno richiamato un vasto pubblico alla biblioteca comunale.
Il Prof. Franco Paliaga ha esposto con mirabile chiarezza e dovizia di particolari l’inscindibile rapporto che lega Caravaggio e la natura morta.
Michelangelo Merisi non fu il primo a dedicarsi alla rappresentazione di frutta e fiori, come dimostrano le tele fiamminghe, le opere di Vincenzo Campi, Giuseppe Arcimboldi e Giovanni Ambrogio Figino.
L’ispirazione dei predecessori, insieme alla carica rivoluzionaria delle sue opere, permisero a Caravaggio di innescare il processo necessario alla riqualificazione della natura morta che cominciò ad occupare un posto di rilievo, accanto a scene mitologiche, storiche e religiose.
Infatti, come è documentato dalle fonti, il giovane pittore lombardo si recò a bottega da Giuseppe Cesari iniziando a dipingere ghirlande e festoni che, nella cultura romana, erano concepiti come semplici elementi decorativi.
Caravaggio esce da quest’ottica e attribuisce una “nuova vita” alla natura morta che, proprio grazie alle sue opere, diverrà un genere autonomo nei primi decenni del Seicento.
Oltre all’indiscussa bravura esecutiva, palpabile nella resa dei cristalli e nell’impianto illuministico di dipinti come il “Suonatore di liuto” e il “Ragazzo morso da un ramarro“, è la raffigurazione della caducità della vita umana, in rapporto all’effimeratezza dei fiori, a determinare il successo di tali rappresentazioni.
La ricerca del piacere momentaneo, simbolo della “vanitas” e della breve durata dell’esistenza, si ritrova anche nelle voluttuose scene del “Fruttaiolo” della Galleria Borghese e nel “Bacco” degli Uffizi.
Nell’opera “Canestra di frutta” della Pinacoteca Ambrosiana, invece, manca il riferimento procace alla figura umana, colta in atteggiamenti sensuali; l’unica vera protagonista è la cesta di vimini e il suo contenuto che apparentemente sembra fresco, ma in realtà mostra evidenti segni di marcitura.
La potenza espressiva e rivoluzionaria dei dipinti di Michelangelo Merisi viene raccolta, nei primi anni del Seicento da Angelo Caroselli e da Pietro Paolini con la perpetuazione del binomio caraffa di fiori e strumenti musicali ripresa dal “Suonatore di liuto”.
L’eredità caraggesca è, infine, giunta fino a noi nelle rielaborazioni del contemporaneo Luigi Pellanda che riesce a fondere con maestria gli echi del maestro lombardo, l’iperrealismo americano e sfumature metafisiche.
La validità e la continuità, nei secoli, della lezione di Caravaggio mostrano la straordinaria attualità della “pittura dal vero” che si è rinnovata nella forma, ma è rimasta intatta nella sostanza a testimoniare il segno indelebile lasciato nella storia dell’arte da Michelangelo Merisi.